Oggi vediamo come scegliere le bibite analcoliche, analizzando quali sono i prodotti disponibili sul mercato.
In Italia si beve molto vino, molta birra e molti litri di acqua minerale con i suoi derivati: aranciate, cole, gassose, ginger, limonate, chinotti, cedrate, mente, tè.
Ci sono due tipi di bibite analcoliche, quelle tutte di frutta (succhi, nettari, succhi e polpa) e quelle «alla» frutta.
Come al solito la legge non aiuta il consumatore a orientarsi e, di conseguenza, nemmeno le etichette sono molto chiare.
Come Scegliere le Bibite Analcoliche
Consideriamo le bibite «alla» frutta e agli aromi. Se leggete bene le etichette vi accorgerete che per una bottiglia di ginger il prezzo pagato copre ingredienti molto a buon mercato: acqua, zucchero, colorante artificiale, aroma, anidride carbonica. Niente più, in sostanza, di acqua zuccherata e colore.
Anche le varie cole contengono ingredienti di poco valore o che comunque con la sete non hanno niente di sano da spartire.
Tutto il trucco sta nella presentazione, nel consigliare di tenere in frigo queste bevande, nel far credere che
il pizzicorino (acido ortofosforico, per esempio) mandi via la sete.
Invece la bevanda oltre che solletico in gola o all’epiglottide non fa. Con l’aggravante che lo zucchero presente, dopo pochi minuti vi farà aumentare la sete invece di calmarla.
Infine, se riflettete sui prezzi di queste grandi bottiglione di plastica per famiglia, concluderete che il prezzo di questa acqua dolce è molto salato.
L’aranciata
Leggermente diverso il caso delle «aranciate».
I produttori, per chiamarla così, devono mettere nella bottiglia almeno il 12% di succo d’arancia, di pompelmo, di cedro o di altri agrumi, freschi o surgelati.
I controlli eseguiti sulla quantità massima di succo di agrume trovato nelle aranciate hanno dato come cifra massima il 20%.
I coloranti non spariscono del tutto anche se ormai i consumatori sanno bene che il giallo e l’arancio carico di una volta non erano naturali (E110 Giallo tramonto FCF e Giallo arancio S).
Sono presenti anche correttori di acidità (acidificanti): acido citrico; gli antiossidanti: acido 1-ascorbico; i conservanti: sodio benzoato, anidride carbonica, anidride solforosa, il sale (cloruro sodico) e gli aromi. L’aroma è il segreto industriale per eccellenza, fornito da quelle sostanze definite «aromi naturali» e dichiarate come tali anche se riprodotte in laboratorio, e usate per nascondere una materia prima di scarsa qualità.
Prova dell’aranciata calda
Gli acidificanti, oltre a essere dei conservanti, danno anche il gusto apparentemente dissetante.
L’anidride carbonica, aggiunta anche con funzione di conservante grazie alle sue proprietà batteriostatiche, suggestiona notevolmente il palato ormai tartassato del povero consumatore, e senza questo composto tutte le bibite gassate sembrerebbero delle besciamelle imbevibili. Nella nostra mente, ormai, il gas è associato alla freschezza.
Per finire, non dimentichiamo la parte svolta dal frigorifero nel mercato delle bibite.
Nessuno si sognerebbe di bere le cole, i ginger o le aranciate tiepide o a temperatura ambiente, neanche d’inverno. Per la pubblicità, grande madre di questi prodotti, il ghiaccio e il frigo sono l’imperativo categorico.
Fate la prova degli occhi chiusi e temperatura ambiente. Provate a bere, senza vedere il colore, un bicchiere non tenuto in frigo e degassificato, non tappandolo per tre giorni, e capirete quanto valore hanno i soldi spesi per il litro di ginger o di chinotto. Pare naturale quindi, dopo questa analisi, sconsigliare a chi ha sete una pozione contenente 12 parti di succo d’arancia, fino a 10 di zucchero (un etto in un litro) e tutti gli additivi visti sopra.
Eppure, a dar retta alla pubblicità, chi ha sete beve l’aranciata!
I succhi di frutta
Quelli veri, ottenuti cioè dalla spremitura dei vari tipi di frutta si stanno diffondendo sempre più e risultano economicamente vantaggiosi. Non sono considerati, come il vino e la birra, una bevanda adatta al consumo da tavola, perché troppo dolci e comunque di gusto non facilmente abbinabile a pastasciutte, arrosti, fritti, umidi.
Si potrebbero definire bevande-merenda da dare ai bambini al posto della frutta o dei biscotti. Quelle acidule come i succhi di limone e pompelmo possono servire contro la sete estiva.
Il succo di frutta può essere ottenuto sia dalla diretta spremitura del frutto, sia dalla lavorazione di succo concentrato o disidratato (privato dell’acqua) al quale si aggiunge, durante l’imbottigliamento o la confezione, acqua nella stessa proporzione di quella presente al momento dell’estrazione.
In questo caso si parla di succo di frutta al 100%, per cui le caratteristiche organolettiche, l’aroma, il sapore dovrebbero essere più o meno equivalenti a quelli di una spremuta. Cosa non del tutto vera perché, trattandosi di una bevanda molto delicata e soggetta a veloce ossidazione, le lavorazioni (concentrazione-disidratazione, pastorizzazione) incidono molto soprattutto sul sapore finale, che non è dei migliori.
Ormai ci stiamo abituando, ma la prova di assaggio tra una spremuta d’arancia fatta in casa e una industriale è rivelatoria.
Quest’ultima comunica una sensazione di sgradevolezza, un retrogusto amaro, una sensazione di cotto, la liquidità sabbiosa è omogenea ma dà sedimento, il colore smorto e opaco, la dolcezza artificiosa. Ma piano piano l’industria ci convincerà a considerarla una «bevanda naturale» e meno ributtante.
Leggermente diverso il sapore della spremuta di pompelmo per l’acidità naturale del prodotto. Peccato che il succo di limone sia riservato all’industria e non all’uso «fresco» anche diluito.
Nettare o succo di polpa
Si ottiene aggiungendo acqua e zucchero al succo concentrato o alla frutta spappolata (purea). Le percentuali di frutta vanno dal 25-30% al massimo del 50%. Lo zucchero aggiunto non deve superare il 20%.
Il consumo in Italia di succhi di frutta resta comunque molto basso rispetto agli altri paesi perché la frutta, giustamente, viene ancora consumata direttamente e fresca.
Che cosa dice la legge
La legge prevede alcune differenze relative al contenuto, ma le denominazioni non risultano sempre chiare per il consumatore.
Oltre alle bevande «alla frutta», quelle del 12%, ci sono dunque i succhi, i nettari e i succhi e polpa di..
Fatalità vuole che se trovate scritto «Succo di…» siete sicuri che si tratta interamente di sugo di frutto spremuto al 100%, mentre negli altri casi la frutta è solo al 40%, albicocche, 45% pesca, 50% pera con il resto di acqua aggiunta.
Come si producono i succhi di frutta
I succhi di frutta si producono seguendo un procedimento simile a quello casalingo quando si spremono le arance.
Si taglia a metà il frutto e con uno spremiagrumi, girando e premendo si fa uscire il liquido.
Nell’industria queste operazioni vengono fatte per mezzo di macchine automatiche. Le arance vengono selezionate, lavate sotto getti di acqua, tagliate a metà e fatte cadere in vaschette emisferiche, e quindi spremute. Il liquido così ottenuto viene filtrato e omogeneizzato. Se il succo deve essere concentrato, si toglie la percentuale d’acqua stabilita, acqua che verrà reintegrata in fase di imbottigliamento.
La frutta usata non è sempre di prima qualità o matura al punto giusto, perché i processi di lavorazione riescono a filtrare e a togliere impurità, gusti sgradevoli e irrancidimenti e ossidazioni.
I succhi di frutta contenuti nelle belle confezioni colorate di cartone o tetrapack sono tutti ottenuti con succo concentrato industrialmente. Nonostante la Sicilia e il Sud d’Italia, terra di agrumi da millenni, il principale produttore europeo di succhi d’arancia è (udite, udite) l’Olanda, che utilizza materia prima di origine extra-europea.
E anche le ditte italiane importano il succo concentrato da Israele, Florida, Cipro, Argentina, Messico, perché la varietà delle arance italiane non si presta alla conservazione.
La materia prima è così lavorata più volte prima di arrivare sino a noi per togliere l’acqua in eccesso che verrà rimessa prima della imbottigliatura o dell’imballaggio in tetra-brick.
Le etichette
Le etichette sono di norma in regola con le prescrizioni di legge, compreso il termine minimo di conservazione. Quello che invece non va è la mancanza della segnalazione molto importante che dopo l’apertura il cartone va conservato in frigorifero e va consumato entro due o tre giorni.
I succhi a base di concentrato rimangono dentro la confezione almeno un anno o due.
Non sempre inoltre si mette in risalto con caratteri adeguati che il prodotto è «A base di succo concentrato» sottolineando invece il 100% di succo d’arancia e sul fatto che non vi è stato aggiunto zucchero.
Infine gli ingredienti sono volutamente messi non bene in vista e indicati in ordine decrescente, anziché con la percentuale esatta, come sarebbe più equo.
Sotto la lente d’ingrandimento
La sete
Pensate a uno stimolo biologico come la fame e la sete. Risulta essere un segnale che il nostro organismo ci manda quando ha bisogno di acqua e dei sali minerali che essa contiene.
Su questa necessità naturale si è costruita tutta la commercializzazione del bere, abbiamo inventato tante bevande, più buone, più elettrizzanti, più saporite dell’acqua, dimenticando che non tutte, alla fine, sono adatte a soddisfare questa esigenza dell’organismo.
Basterebbe l’acqua! È assodato infatti che per togliere la sete la bevanda più efficace sia l’acqua. Meglio se fresca e pura.
Il massimo rimedio, quindi il migliore, sarebbe poi una bevanda acidula.
Fin dalla notte dei tempi ci si toglieva la sete con acqua e un po’ di gocce di aceto o gocce di limone. Oppure con un po’ di latte acido o yogurt. Non si associava il freddo con il potere di calmare l’arsura.
Ai giorni nostri, la cosa più efficace rimane sempre diluire l’acqua con il limone, senza bisogno di nessuna aggiunta di zucchero (che ottiene l’effetto contrario), di coloranti e di bollicine.
Nel deserto, i nomadi bevono tè aromatizzato alla menta, molto scuro, denso, caldo.
Togliersi la sete bevendo acqua calda non fa parte della nostra cultura, eppure le bevande calde o tiepide non comportano dispendio di tempo e di energia per essere riportate alla temperatura del corpo, come avviene invece per quelle fredde o gelate.
Le bevande calde, quindi, vengono assorbite immediatamente dall’organismo e sarebbero la scelta ideale per ristabilire rapidamente le scorte idriche del nostro corpo. Sono quindi anche isotoniche.
Agli occhi del chimico
Ogni bibita ha un gusto particolare, ma agli occhi di un chimico, cioè dal punto di vista analitico-nutrizionale, le bibite sono tutte uguali essendo composte di acqua e zuccheri, che sono zuccheri aggiunti (zucchero comune, sciroppo di
glucosio ecc.) o zuccheri provenienti dal frutto impiegato nella bevanda (fruttosio e glucosio).
Alcune contengono anche un po’ di vitamine e di sali minerali, ma il componente principale e di gran lunga preponderante è solo e sempre l’acqua, che nelle bibite dietetiche arriva fino al 99% e che, è bene ricordarlo, costa all’industria pochissimo, quasi niente, due o tre lire al litro.
L’acqua non dà assolutamente alcuna caloria, se ne può bere quanta se ne vuole senza ingrassare di un grammo; nessuna caloria danno anche le vitamine, i sali minerali e l’anidride carbonica, anche se quest’ultima «gonfia».
Zuccheri e calorie
Le calorie delle bibite sono fornite soltanto dagli zuccheri, naturali e aggiunti, in ragione di 4 per ogni gr di zuccheri: quindi più acqua c’è e meno calorie dà la bibita. In un bicchiere di 10 cl, le calorie vanno da 34 a 58, contro, per esempio, le 150 calorie di un ghiacciolo all’arancio o le 250 di un gelato alla crema.
Bibite più Vendute Online
In conclusione mettiamo a disposizione una lista delle bibite più vendute online in questo periodo con il relativo prezzo.
Cliccando sui prodotti che si trovano nell’elenco è possibile leggere le opinioni e i commenti dei clienti.