Forse non ci si interroga mai abbastanza su come la nostra alimentazione abbia ricadute ed influenze sull’ambiente circostante. In particolare, effetto serra e alimentazione sono aspetti che spesso vengono accomunati negli studi di settore, ma che raramente entrano nella nostra ottica come correlati. Alcuni studi condotti, tra gli altri, dall’istituto Svedese per il cibo e le tecnologie, si sono di recente soffermate su questo argomento, trattando parallelamente della produzione del cibo e dell’emissione di gas serra.
Spesso, la disinformazione ci porta a credere che noi non possiamo nulla contro questi eventi, quasi fossero una sorta di manna venuta dal cielo alla quale non siamo in grado di opporci. Procediamo quindi a capire in che cosa consista il punto centrale di queste discussioni, per inquadrare il problema e dar un’occhiata particolare ai diversi modi con cui anche noi possiamo cooperare per ridurre l’alterazione.
Ormai il tema è così spesso proclamato in giornali e telegiornali, che è difficile pensare che, parlando di gas serra, aumento della temperatura globale, buco dell’ozono, etc si abbia difficoltà ad inquadrare l’argomento. È praticamente quotidiano il confronto con queste tematiche, che vengono spesso trattate con un allarmismo ingiustificato, mentre forse sarebbe più utile un’informazione globale sui rischi e sulla prevenzione, anziché affidarci a visioni apocalittiche. Comunque sia, in generale l’argomento viene quasi sempre accostato a quello dell’utilizzo dei combustibili e fossili, e quindi all’eccessivo inquinamento ed emissione di gas dovuti alla circolazione dei mezzi e alla produzione industriale. E il cibo? È davvero una fonte di emissione di questi gas serra? Anche se sembra strano o curioso, delle ricerche che risalgono al 2006 si è evinto che responsabili per il 18% dell’emissione di gas serra a livello mondiale sono gli allevamenti di animali. Anche se questa percentuale si rivela a dir poco modesta, è un buon punto di inizio per interrogarci su come alimentazione e surriscaldamento globale siano discorsi da fare in uno stesso ambito.
Capito che il problema esiste, passiamo a definirlo e inquadrarlo nelle sue linee fondamentali. Innanzitutto, quando si parla di gas serra in riferimento al cibo, si intendono tutte le emissioni che vengono create dalle varie fasi dei processi di produzione, inclusi quindi anche quelli industriali. Ciò che forse ci potrebbe far storcere il naso, è che si parla di emissioni anche per quel che riguarda la fotosintesi delle piante, e l’impiego di fertilizzanti. Rientra comunque nel ciclo di emissioni legate al cibo anche quelle dovute all’utilizzo di messi di trasporto, ad esempio, da un campo all’altro, o necessari per arare i campi etc.. infine, rientrano nel ciclo delle emissioni anche quelle prodotte durante la cottura dei cibi, e infine quelle che riguardano il ciclo e la trasformazione dei rifiuti.
Parlando di gas serra, la fa da padrona l’anidride carbonica ( CO2), che rappresenta la maggiore tipologia di gas serra presente sullo scenario inquinamento. Ma ve ne sono altri meno noti e comunque micidiali, come ad esempio il diossido di azoto, che interessa soprattutto i casi di fertilizzazione del terreno, ma anche il metano che può essere prodotto anche nelle risaie, a causa della fermentazione di sostanze organiche. Per spiegare tuttavia la potenza di ciascun gas, dobbiamo tuttavia metterli a paragone fra loro: basta allora sapere che con 1 molecola di metano si ottengono gli effetti equivalenti a quelli di 25 molecole di CO2, ma al contrario le proporzioni salgono paurosamente se mettiamo in relazione anidride carbonica con diossido di azoto: gli effetti equivalenti ad una molecola del secondo, sono simili a quelli prodotti da 298 molecole dell’altro. Tutto ciò ricade quindi sull’ambiente, andando a contribuire e ad aumentare, anche se in minima parte (18%) il riscaldamento globale. Verifichiamo ora, anche per curiosità, il numero di emissioni che interessa ciascun alimento
Cereali
Abbiamo visto parlando di diossido di azoto, che è la fase della coltivazione e dell’impiego di fermenti chimici ad avere maggiore risonanza sull’ambiente, per la produzione in questa fase appunto di diossido di azoto. Sostanzialmente, una volta sparsi sui campi,il concime rilascia una parte di anidride carbonica, ma soprattutto di diossido di azoto, perché le piante non riescono a trattenerla o non ne hanno bisogno ei loro processi di fotosintesi. A concludere la incisività di questa fase sul complesso totale delle emissioni ci si mettono anche i trattori utilizzato per arare i campi, che come abbiamo visto fanno parte integrante delle emissioni totali di gas correlate ai cibi, e che in quel caso interessa particolarmente anidride carbonica.
Se applichiamo tutto questo al caso specifico del riso, che è uno degli elementi più diffusi nella nutrizione di tutto il mondo, ci rendiamo conto dell’impatto che può avere la sua produzione. Premesso che tale alimento può essere piantato sia sul terreno asciutto, che nelle risaie, e alla luce di quanto abbiamo detto più sopra, si può notare come nel primo caso le emissioni create sono a pari a qualsiasi altra che interessa sempre cereali, ma uno studio sulla produzione nelle risaie, che è comunque la modalità maggiore di coltivazione del riso a livello mondiale, emette circa il 10-13% dell’emissione di metano su base mondiale.
Carne e Prodotti Caseari
Non si dovrebbe rinunciare alla carne e ai formaggi, perché entrambi sono una fonte preziosa di proteine utilissime al nostro organismo nei processi di rigenerazione molecolare e dello sviluppo dell’apparato muscolare. In questo caso bisogna distinguere i casi di emissione di animali monogastrici, come ad esempio pollo e maiali, e l’impatto che invece hanno gli allevamenti di animali che digeriscono due volte(cosiddetti ruminanti. Per la prima categoria, il momento di maggiore impatto è l’emissione per la creazione dei loro mangimi, poiché viene utilizzato il letame come fertilizzante. Se poi ci aggiungiamo che in alcuni allevamenti ci si adopera per mantenere la temperatura costante, il riscaldamento, così come quello della casa, produce CO2. Nel caso degli animali ruminanti, impattano in particolare i gas prodotti durante la fase di digestione che comporta la fermentazione enterica, per non parlare delle fasi di produzione dei mangimi e di smaltimento dei prodotti di scarto.
Analizzando per entrambe le categorie anche lo smaltimento dei rifiuti organici, chiaramente le condizioni climatiche sono importanti eni processi di reazione: infatti nei climi caldi, si avranno delle emissioni maggiori, perché le temperature alte determinano reazioni particolari con i letami di questi animali. Altra cosa da non sottovalutare nel computo generale, sono le emissioni dovute al disboscamento forestale: in questo caso si ricava a contrario calcolando quanta anidride carbonica sarebbe stata recuperata dalle piante per il processo di fotosintesi.
Aggiungendo all’anidride carbonica prodotta dagli allevamenti, quella che sarebbe stata recuperata, si ottiene l’effettivo impatto di emissione. Anche se sembra quasi impossibile da credere, tutto sommati il momento della produzione e trasformazione industriale ha, proporzionalmente, minore effetto rispetto alle altre fasi della produzione. Per ciò che riguarda invece la produzione di latte e altri prodotti caseari, bisogna aggiungere alle normali emissioni per l’allevamento degli animali, anche quelle create durante la fase di lavorazione e trasformazione del prodotto primo che sono necessarie per metterlo sul mercato e farlo consumare.
Pesce e Prodotti Ittici
Alcuni studi condotti dalla FAO, una speciale organizzazione delle Nazioni unite che tratta principalmente dei problemi nell’agricoltura mondiale, hanno messo in evidenza come la pesca sia un’attività soggetta a sfruttamento. Ciò vuol dire che, rispetto ai bisogni della collettività, gran parte del pescato si riduce a dover essere rigettato in mare. Il che vuol dire anche che le emissioni dei pescherecci in mare, che potrebbero essere ridotte, sono in realtà ancora molto alte, e non solo sull’aspetto delle emissioni di anidride carbonica, ma anche su quello delle risorse e del tempo impiegato. Secondo alcuni, tali problemi sarebbero potenzialmente ridotti ricorrendo alla acquacoltura, vale a dire prelevando il pesce richiesto dal mercato esclusivamente negli allevamenti ittici, anziché in mare aperto.
In realtà però la soluzione ha tutto l’aspetto di un circolo vizioso irrisolvibile, poiché comunque per alimentare i pesci di allevamento sarebbe necessario prelevare altre varietà di pesce, con valore economico più modesto, che sono tuttavia reperibili solo in mare aperto. Non è perciò pensabile proporre una semplice eliminazione dell’attività peschereccia, ma occorre forse regolamentare il mercato per fare rispettare delle regole che potrebbero avere impatto positivo sull’ambiente. Anche nel caso del pesce, ai gas serra emanati durante la fase di pesca, devono sommarsi a quelli creati dal trasporto e trasformazione del pesce.
Ciò diventa particolarmente significativo soprattutto per quelle varietà di pesce che scarseggiano nei nostri mari e vengono quindi importate dai Paesi esteri: in quel caso chiaramente l’impatto ambientale sarà maggiore. Non solo l’emissione di co2 per il trasporto è rilevante, ma dobbiamo tenere in considerazione che anche le celle frigorifere impiegate per conservare il pesce durante il trasporto comportano delle emissioni. Il problema è quale di queste fasi possiamo eliminare o modificare per ridurre il numero di inquinamento emesso. ciò richiede da un lato particolari ritrovati della tecnologia, ma in alcuni casi, come ad esempio la fertilizzazione, sono dei processi che, giocoforza, devono entrare nel ciclo produttivo.
Legumi
I legumi sono molto importanti nella alimentazione quotidiana, soprattutto per chi per diversi motivi non assume carni e proteine in altro modo. Inoltre, dobbiamo tener conto che questo alimento è particolarmente fruttato nei Paesi con scarsa economia, che non hanno quindi il denaro per poter ricavare carne in nessun modo. Ebbene, dal punto di vista nutrizionale i legumi forniscono proteine al pari delle carni, ma al loro produzione comporta minori emissioni di gas.
Ciò è spiegato dalla circostanza che le piante dei legumi sono azotofissatrici: quindi prendono parte dell’azoto presente nell’atmosfera e lo impiegano per il loro sviluppo e sostentamento. Ciò non è per nulla irrilevante ai fini del tema che stiamo affrontando. Ma, come sempre non è tutto oro quello che luccica: come sempre, infatti, nel ciclo delle emissioni si devono tener presenti quelle necessarie per il trasporto e imballaggio dei prodotti: ebbene quello dei legumi è assai elevato, tanto da far recuperare- negativamente- il risparmio di cui si è parlato sopra.
Anche per la produzione degli imballaggi, oltre alla fase di lavorazione e creazione vera e propria degli imballaggi, deve essere infatti calcolato il trasporto. Anche se di primo acchito potrebbe sembrare poca cosa, il fatto di produrre legumi essiccati richiede un minor impiego di risorse, come la materia prima per imballarlo, e anche il trasporto, che riuscirebbe ad essere razionalizzato in relazione al minor spazio e peso ( perché sono imballati nella plastica, e non in metallo) e che avrebbero questi imballaggi. e perciò, i legumi essiccati sarebbero certo da preferire, anche nella spesa di tutti i giorni, per stare attenti alle emissioni legate alla sua produzione.
Frutta e Verdura Varia
Questi due alimenti, anche per le minori fasi di passaggio nella produzione, tendono a produrre meno gas inquinanti rispetto agli altri alimenti. Ciò che davvero rientra nella emissione sono infatti l’anidride carbonica per l’utilizzo dei macchinari agricoli e il diossido di azoto per lo spargimento del concime ricavato da sostanze chimiche. tra tutte le varianti di frutta e verdura, quella senza dubbio con la maggiore presa e il mino impiego di emissioni è la patata, proprio perché non sono necessari particolari cure o trattamenti per farla crescere. In generale comunque, radici e tuberi non danno particolari preoccupazione in questo ambito.
Non si può dire altrettanto purtroppo per i gas prodotti da tutte le colture che crescono nelle serre: è infatti indispensabile produrre energia, attraverso l’utilizzo dei combustibili fossili, per mantenere nella serra la temperatura adeguata. Il problema delle serre risiede nella non scrupolosa attenzione ai cicli produttivi naturali della terra: per avere a tutte le stagioni materie prime che non riusciremmo a reperire altrimenti, le colture che necessitano di un clima caldo possono essere prodotte tutto l’anno. il risultato di questo spregiudicato impego di risorse non è tuttavia ottimale sia per quanto riguarda la qualità del prodotto, sia per l’impiego di risorse che hanno un impatto notevole sul clima. Questo modo di produzione interessa oramai sempre più paesi, in particolare però quelli con un clima rigido tendenzialmente tutto l’anno, che eliminano così i costi del trasporto di generi alimentari.
Per frutta e verdura, con l’opportuna eccezione dei prodotti di serra, i momenti più inquinanti sono quindi quelli finali della produzione, consistenti nel trasporto e nell’imballaggio. Soprattutto il trasporto tende a rilevare quale voce determinante nella produzione di emissioni, proprio perché la sempre crescente globalità del mercato porta i vari mercati a numerose importazioni ed esportazioni, soprattutto per verdura e frutta fresca. Se a ciò aggiungiamo le emissioni delle celle frigorifere che dovrebbero mantenere il prodotto durante il viaggio, ma soprattutto quel cibo che, per il normale deperimento, viene buttato ancor prima di giungere a destinazione, ci possiamo rendere conto delle singole voci che consentono di affermare che il trasporto è senza dubbio a fase meno performante del ciclo produttivo di frutta e verdura.