La carne è la parte commestibile, che si ricava da animali appositamente allevati, o cacciati allo stato selvatico, ed è costituita da tessuto muscolare, tessuto adiposo e tessuto connettivo.
Il tessuto muscolare, ovvero la parte magra della carne, è formato da fasci di fibre ed è composto da acqua, proteine, grassi, sostanze minerali, bassi quantitativi di vitamine e una piccola percentuale di zuccheri.
Il tessuto adiposo, ovvero la parte grassa della carne, è distinto in:
– grasso interno, o viscerale, localizzato intorno ai reni, al cuore e alla pancia dell‘animale, ha uno scarso valore dal punto di vista gastronomico. In particolare quello bovino è lavorato per ricavarne il sego, mentre quello suino è trattato per ottenerne la sugna;
– grasso sottocutaneo, che ricopre la superficie esterna delle masse muscolari e nei suini costituisce il lardo;
– grasso muscolare, che si trova tra le fibre muscolari ed è gastronomicamente pregiato in quanto conferisce alle carni maggiore tenerezza e sapore. In particolare quando queste presentano tale tipo di grasso vengono chiamate marmorizzate, marezzate, o prezzemolate (dal francese persillé).
Il tessuto connettivo, composto da nervi e tendini, può essere di colore bianco o giallo.
Nel primo caso, soprattutto durante la cottura per ebollizione, si scioglie o si ammorbidisce, nel secondo invece non subisce particolari trasformazioni e per questo le carni, che ne sono ricche, risultano più coriacee.
In realtà negli animali vecchi anche il tessuto connettivo bianco tende a ingiallire e ciò testimonia appunto l’età avanzata del capo.
Un altro punto piuttosto importante riguardo il tessuto connettivo bianco è il fatto che questo contiene il collagene, una sostanza solubile in acqua, dalla quale si ottiene, per ebollizione, la gelatina.
Naturalmente questi tre tessuti non sono presenti nei vari tipi di carne con la stessa percentuale. Ma questa varia in base alla specie dell‘animale, alla sua età, al suo stato di salute, o al modo in cui è stato allevato.
Infatti, per esempio, gli animali vecchi presentano muscolature meno tenere e tessuti connettivi più sviluppati.
Come è stato accennato prima, la carne è la parte edibile, che si ricava da animali appositamente allevati, o cacciati allo stato selvatico, e a questo proposito è opportuno specificare che, in base alla specie di provenienza, viene suddivisa in tre macrocategorie:
– le carni di animali da macello, che comprendono quella bovina, ovina, caprina, equina, suina e di bufalo;
– le carni di animale da cortile, che comprendono quella avicola, quella cunicola e la carne di struzzo;
– le carni di selvaggina, che provengono da animali cacciati e commerciati durante periodi regolamentati (cacciagione), oppure allevati in cattività e commerciati tutto l’anno (selvaggina d’allevamento).
Oltre a questa distinzione, la carne di selvaggina si distingue anche in base alla specie dell’animale da cui è ricavata.
Per cui abbiamo quella di selvaggina da pelo (mammiferi) e quella di selvaggina da penna (uccelli).
Inoltre la prima è a sua volta ripartita in carne di grossa selvaggina (cervo, cinghiale, capriolo, camoscio, daino ecc.) e in quella di piccola selvaggina (lepre, coniglio selvatico ecc.).
Mentre la carne di selvaggina da penna viene distinta in quella di selvaggina nobile stanziale (pernice e fagiano), migratoria (beccaccia, tordo e allodola) e di valle (alzavola, germano reale, oca selvatica e folaga).
Oltre alle ripartizioni suddette, le carni si distinguono anche in base al loro colore, il quale è dovuto alla presenza della mioglobina.
Questa è una proteina, che conferisce ai tessuti muscolari la loro pigmentazione caratteristica e può aumentare nel tempo per via della loro attività.
Infatti le carni dei capi adulti e della selvaggina ne sono ricche, mentre quelle degli animali giovani ne sono povere.
Prima di procedere, inoltre, mi preme ricordare che a contatto con l’aria la mioglobina si ossida, dando alla carne un tono di colore diverso, ma ciò non pregiudica affatto la qualità dell‘alimento.
Chiarito questo, possiamo dire che, in base al loro colore, le carni si distinguono in:
– carni rosse, provenienti da animali adulti (vitellone, manzo, bue, agnellone e montone), o comunque non di latte;
– carni bianche, provenienti da animali giovani (vitello, agnello e capretto), da maiali e da animali da cortile quali il pollo, il tacchino e il coniglio;
– carni scure, provenienti dalla selvaggina e da alcuni animali da cortile come la faraona.
La macellazione e la frollatura
Quando l’animale ha raggiunto un’età prestabilita, o un buon grado d’ingrasso, viene condotto in mattatoi pubblici o privati, per essere macellato, cioè per essere sottoposto a un insieme di operazioni, che lo predispongono alla vendita e al consumo.
In particolare il primo passaggio prevede che il personale, preposto al servizio veterinario, visiti gli animali e ne registri i certificati sanitari, nonché i dati di provenienza.
Dopodichè il capo viene abbattuto ed è appeso per favorirne il dissanguamento, che avviene tramite un’incisione, praticata sulla vena giugulare.
A questo punto i bovini sono scuoiati, i suini e gli ovini sono rasati, mentre il pollame è spennato.
Quindi gli animali sono eviscerati, per recuperarne le frattaglie commestibili, e ciò che ne rimane assume il nome di “carcassa“.
Le carni della carcassa vengono sottoposte a un ulteriore controllo sanitario da parte del veterinario ufficiale, il quale ne certifica la commerciabilità e appone il bollo della Vigilanza Sanitaria, comprensivo della denominazione del comune, in cui è avvenuto il controllo.
Inoltre prelievi ed esami a campione vengono effettuati sulle diverse partite di carne, per verificarne la salubrità.
Comunque sia, dopo la certificazione, le carcasse subiscono un periodo di maturazione, meglio noto come “frollatura“, durante il quale sono mantenute in celle frigorifere a temperature inferiori a 4°C.
Questo procedimento è indispensabile per far sì che le carni risultino più tenere.
Infatti, qualche ora dopo l’abbattimento dell’animale, le sue fibre muscolari si contraggono, dando luogo al rigor mortis, cioè all’irrigidimento dei tessuti.
Ma con il passare del tempo tale caratteristica tende a sparire, per effetto di alcune reazioni enzimatiche, che iniziano a demolire le fibre.
Inoltre le stesse reazioni fanno sì che le carni perdano l’odore di selvatico e acquistino piuttosto degli aromi, che ne migliorano il sapore.
Il periodo di frollatura non è lo stesso per ogni animale, ma varia a seconda della specie e dell’età, infatti i muscoli dei capi più vecchi necessitano di maggior tempo per contrarsi e intenerirsi.
In particolare per i bovini adulti il periodo previsto va dalle 2 alle 3 settimane; per i vitelli e i suini dai 4 ai 5 giorni, mentre per gli ovini va da 2 a 3 giorni.
Circa le carni avicole e quelle cunicole il tempo, che intercorre tra l’uccisione e la vendita nei mercati, è sufficiente per la frollatura.
Lo stesso dicasi per la selvaggina da penna, fatta eccezione per il fagiano, la beccaccia, la pernice, la starna e l’anitra selvatica, le cui carni richiedono una breve maturazione.
Invece le fibre muscolari della selvaggina da pelo sono piuttosto dure, soprattutto negli animali adulti, per cui prima di cucinarle è indispensabile non solo frollarle, ma anche marinarle.
Inutile dire che i periodi di maturazione che sono stati elencati, sono abbastanza indicativi e sono verificati periodicamente dagli addetti.
Infatti protraendo la fase di frollatura si rischia di innescare dei processi di putrefazione.
Inoltre per alcuni tagli naturalmente teneri, come il filetto, il periodo di maturazione non sarà necessario, o sarà più breve.
A questo proposito è necessario aprire una parentesi, per spiegare un concetto fondamentale.
In particolare il tessuto connettivo è la parte della carne, che ne determina l’eventuale tigliosità, e, come è stato spiegato prima, si sviluppa con l’avanzare dell’età dell’animale.
In realtà, però, la presenza di nervi e tendini è data anche dal tipo di attività svolta dal muscolo.
In questo senso il filetto, proprio per la sua posizione anatomica, sarà più tenero rispetto a quelli che vengono utilizzati per sostenersi e per muoversi.
Inoltre la carne degli animali cresciuti in allevamento sarà più morbida rispetto a quella della selvaggina da pelo, proprio l’uso diverso che le varie specie fanno dei loro muscoli.
La riduzione in tagli
Dopo il secondo controllo sanitario e prima di iniziare l’eventuale periodo di frollatura, la carcassa dell’animale viene ulteriormente lavorata, per essere poi avviata alla vendita.
In particolare quella dei bovini, privata della testa e delle zampe, è divisa lungo la colonna vertebrale in due metà, dette “mezzene“, le quali a loro volta sono incise all’altezza delle costole in due quarti: anteriore e posteriore.
La suddivisione in quarti avviene mantenendo attaccate a quello anteriore un numero di costole variabile a seconda delle abitudini di mercato delle singole zone.
Tuttavia possiamo dire che generalmente l’incisione viene effettuata tra la sesta e la settima costola; in questo caso al quarto anteriore, che prende il nome di “quarto industriale”, è lasciato unito il fianco (il petto e la pancia), mentre il quarto posteriore, detto “quarto pistola“, rimane composto da coscia, dorso e lombata.
Come accennato, la divisione in quarti può essere diversa da quella appena descritta, ovvero può avvenire tra la decima e l’undicesima costola, e in questo caso la pancia rimane unita al quarto posteriore.
Comunque sia, terminate queste operazioni, ciascuno dei quarti viene posto a maturare.
Quindi può essere avviato ai mercati, dove i macellai lo divideranno ulteriormente in pezzi anatomici di varia forma e costituzione, che sono chiamati “tagli”.
Altrimenti tale operazione può avvenire prima della spedizione ai punti vendita.
Una suddivisione analoga a quella dei bovini è valida anche per le carni equine e per la selvaggina di grossa taglia.
Mentre quella dei suini dipende dall’uso cui è destinata la loro carne.
Per cui la coscia (o prosciutto), la spalla e la pancetta sono sezionate a parte per la preparazione dei prodotti di salumeria.
Infine, riguardo le carcasse degli ovini e degli animali da cortile, queste possono essere avviate ai mercati sia intere, che suddivise in mezzene, in quarti, o in tagli.
Naturalmente le diverse porzioni, in cui è sezionato l’animale, non comprendono le frattaglie, che vengono considerate a parte e prendono il nome di “quinto quarto alimentare”, proprio per differenziarlo dagli altri quattro.
I tagli che si ottengono dagli animali da macello, a esclusione dei suini, si classificano in tre categorie, le quali si distinguono in base alle percentuali di tessuto muscolare, adiposo e connettivo che contengono, e in funzione di ciò se ne determina sia il valore commerciale, che l’uso in cucina.
I tagli di I categoria sono quelli provenienti dalla regione dorso-lombare e dalla coscia (quarto posteriore). Il loro peso è pari a circa il 35% della carcassa e sono le parti più ricche di tessuto muscolare.
In questo senso i tagli di I categoria sono i più pregiati.
Inoltre, poiché sono particolarmente magri e teneri, sono adatti a cotture rapide (in padella, o in friggitrice), o a calore secco (in forno, allo spiedo, o alla griglia).
I tagli di II categoria sono quelli provenienti principalmente dalla parte anteriore del dorso, dalle costole e dalla spalla (quarto anteriore). Il loro peso è pari a circa il 25% della carcassa e hanno un valore commerciale inferiore rispetto ai precedenti.
Infatti presentano parti di tessuto adiposo e connettivale più sviluppate.
In particolare quest’ultimo ha bisogno di cotture lente e prolungate per raggiungere le dovute caratteristiche di consumo, con la conseguenza che i tagli di II categoria risultano indicati soprattutto per la preparazione di pietanze in umido e di arrosti.
I tagli di III categoria comprendono la gamba, la coda, il collo, la pancia e il petto. Il loro peso è pari a circa il 40% della carcassa e sono quelli più ricchi di grasso e di tessuto connettivo.
Naturalmente tali caratteristiche comportano che questi tagli siano quelli meno pregiati e che siano usati principalmente per preparare brodi, fondi, bolliti e macinati.
Una volta avviate ai mercati, evidentemente le carni sono poste in vendita.
Quindi l’acquirente deve valutarne le proprietà organolettiche, alfine di operare una scelta accurata.
A tale proposito è sicuramente opportuno tenere conto di alcuni dati iniziali, che riguardano il tipo di allevamento e di alimentazione con cui l’animale è stato cresciuto.
Infatti gli animali allevati in libertà hanno carni più saporite di quelli tenuti fermi nelle stalle. Inoltre la somministrazione di mangimi ricchi, sani e vari migliora la qualità delle carni.
Dopodichè si potrà procedere a esaminare queste caratteristiche:
– l’aspetto e la consistenza delle masse muscolari, per cui queste devono essere compatte, ferme, umide al tatto e non flaccide, o con una superficie vischiosa e macchiata;
– il colore, che deve essere rosso vivo per gli animali adulti, rosa per i suini, bianco lucido per il vitello e l’agnello da latte. Oltre a ciò si dovrà valutare anche il colore del grasso, che dovrà essere bianco o giallo paglierino;
– l’odore, che deve essere dolce, gradevole e non forte. Sebbene è opportuno precisare che negli animali adulti è più penetrante;
– la tessitura, cioè la disposizione dei fasci muscolari, che si osserva sezionando i muscoli nel senso delle fibre, la quale deve apparire liscia e non rugosa, o flaccida;
– lo stato d’ingrasso, ovvero il tessuto adiposo, che deve essere marmorizzato, cioè venare quello muscolare;
– la finezza, o grana della superficie muscolare, che si osserva sezionando il muscolo perpendicolarmente alle fibre, la quale deve apparire fine, morbida, ruvida e asciutta negli animali adulti, finissima, vellutata e umida in quelli giovani;
– la succosità, che però è valutabile solo mangiando la carne cotta ed è dovuta al contenuto di acqua e alla presenza di grasso intramuscolare.
Infatti durante la cottura questo si scioglie e lubrifica la carne.
Inoltre trattiene l’acqua interna che, se andasse persa, renderebbe la carne poco succosa, dando una sgradevole sensazione di durezza (per questo si preferisce cuocere la carne rossa al sangue e quella bianca al punto, cioè per non fare evaporare eccessivamente i liquidi, presenti nei tessuti).
Per concludere questo paragrafo su quali carni scegliere al momento dell’acquisto, mi preme sottolineare un concetto, che è stato già accennato in precedenza.
Ovvero, quando si compra della selvaggina, sono da preferire gli animali giovani, in quanto le carni provenienti da capi adulti sono più coriacee.
In particolare, per la selvaggina da pelo, le prime sono riconoscibili dalle fasce muscolari poco sviluppate e dal manto di colore chiaro.
Invece per la selvaggina da piuma sono identificabili dal becco elastico, dalle ali flessibili e dalle zampe di colore chiaro.
Carne Suina
Iniziamo dicendo che la carne suina, destinata al consumo umano, proviene soprattutto dalla macellazione dei cosiddetti maiali magri, o magroni, cioè da animali castrati, che non hanno superato i 6 mesi di vita e che hanno un peso di circa 100 kg.
Generalmente questi capi derivano da razze selezionate e ciò, unito al fatto di essere nutriti solo con particolari mangimi, consente di ricavarne una carne che, rispetto a quella consumata in passato, risulta più ricca di proteine e di vitamine, contiene una minore percentuale di grasso e presenta una buona infiltrazione di tessuto adiposo muscolare.
Dopo la macellazione le carcasse dei suini vengono suddivise longitudinalmente lungo la colonna vertebrale in due parti, chiamate mezzene.
Quindi queste ultime sono avviate ai mercati dove, prima di essere poste in vendita, vengono sezionate in pezzi anatomici di varia forma e costituzione, chiamati tagli.
Al contrario di quelli che si ricavano da altri animali, i tagli della carne suina non sono classificati in categorie.
Tuttavia anche questi possono avere delle caratteristiche molto differenti e ciò fa sì che in cucina siano più adatti a un impiego, invece che a un altro.
In questo senso risulta opportuno conoscerli in maniera approfondita, al fine di cucinarli nel modo dovuto, o di acquistare la parte più idonea alla ricetta, che vogliamo preparare.
Scendendo nel dettaglio, i tagli della carne suina che possiamo trovare in commercio sono:
– la coscia, corrispondente all’arto posteriore del maiale, fino al ginocchio, è un taglio di ottima qualità, che è adatto ad essere cotto arrosto, oppure ad essere bollito, o brasato. Inoltre è interessante ricordare che la coscia è usata anche dalle industrie alimentari, per produrre il prosciutto crudo e quello cotto;
– la lombata, o lombo, o lonza, corrispondente alla sezione posteriore della schiena del maiale, a partire dalla coda, può essere adoperata intera, per preparare arrosti e brasati, oppure può essere tagliata a fette, le quali sono adatte ad essere cotte in padella, o ad essere impiegate per realizzare degli involtini;
– il culatello, o fondello, corrispondente alla porzione finale della lombata, vicino alla coscia, è adatto ad essere cotto in umido. Inoltre è interessante ricordare che è usato anche dalle industrie alimentari, per produrre il salume omonimo;
– il carré, corrispondente al dorso del maiale, a partire dalla lombata fino alla settima costola, è un taglio molto pregiato e può comprendere il filetto.
Questa parte del suino può essere tagliata a fette, per realizzare dei nodini (la costata con il filetto), o delle braciole (la costata senza filetto), i quali possono essere cotti alla griglia, o in padella. Altrimenti può essere lasciata intera, disossata o meno. In entrambi i casi è adatta ad essere impiegata nella preparazione di arrosti, come la ben nota arista di maiale (arrosto di carré disossato), nel secondo invece può essere preparata anche in umido;
– il filetto, corrispondente ai muscoli posti sotto le vertebre lombari, è un taglio pregiato, di colore rosso intenso, tenero e magro, che può essere cotto intero, arrosto o in casseruola, oppure può essere ridotto in medaglioni, adatti ad una cottura in padella, o sulla griglia;
– il capocollo, o scamerita, o coppa, o lonza nel Centro Italia, corrisponde alla parte finale del dorso del maiale, dal carré fino alla testa.
Questo taglio è particolarmente saporito, in quanto è molto carnoso e presenta delle infiltrazioni di grasso.
Tali caratteristiche fanno sì che il capocollo sia adatto ad essere cotto arrosto, intero, oppure a ricavarne delle fette da cuocere in padella, o ad essere tagliato a pezzi per realizzare uno spezzatino. Infine è interessante ricordare che questo taglio è usato anche dalle industrie alimentari, per produrre il salume omonimo (coppa, o capocollo);
– le costine, o puntine, o spuntature, corrispondenti alla parete inferiore della cassa toracica del maiale (sterno e punte delle costole, con i relativi muscoli pettorali), sono un taglio economico, povero di carne e ricco di tessuto connettivo, che si presta particolarmente alla cottura alla griglia, ad essere stufato, o ad essere disossato e bollito;
– la spalla, corrispondente all’arto anteriore del maiale, fino al ginocchio, è un taglio adatto alla preparazione di brasati, spezzatini e macinati. Inoltre è interessante ricordare che questa parte è usata anche dalle industrie alimentari, per produrre il prosciutto cotto di spalla;
– i geretti, o stinchetti, corrispondenti alle sezioni inferiori degli arti del maiale, dal ginocchio fino ai piedini, sono un taglio ricco di tessuto connettivo e tale caratteristica li rende adatti ad essere cotti arrosto, a calore moderato, per tempi piuttosto prolungati;
– i piedini, corrispondenti alle zampe del maiale, fino allo stinco, sono il taglio meno pregiato che si ricava dalle carcasse dei suini; infatti sono costituiti soprattutto da tessuto connettivo e vengono commercializzati con la relativa cotenna.
Tutte queste caratteristiche rendono i piedini adatti ad essere bolliti, o ad essere cotti in umido, per un tempo piuttosto prolungato. Ma più frequentemente queste parti entrano nelle nostre cucine, dopo essere state lavorate dalle industrie alimentari, le quali le svuotano e ne utilizzano la cotenna per realizzare i noti zamponi;
– la pancetta corrisponde alla parte addominale del maiale ed è costituita soprattutto da grasso, stratificato con venature di carne.
Questo taglio può essere ridotto in fette, che risultano adatte ad essere cotte alla griglia.
Inoltre è interessante ricordare che questa parte è usata anche dalle industrie alimentari, per produrre il salume omonimo, il bacon (pancetta affumicata) e la pancetta coppata (pancetta arrotolata attorno a un pezzo di capocollo);
– il lardo è il primo strato di grasso che si trova lungo tutta la schiena del maiale e lateralmente arriva fino alla pancetta.
Difficilmente questa parte della carcassa è utilizzata fresca, infatti generalmente viene salata e affumicata, per essere adoperata nella preparazione di antipasti e condimenti.
Come accennato, i tagli appena elencati si ricavano da suini, che hanno almeno 5 mesi di vita e un peso di 100 kg.
Ma in commercio sono reperibili anche i maialini da latte, o lattonzoli, che sono allevati finché raggiungono i 50 kg e, una volta abbattuti, sono adatti ad essere cotti interi, arrosto, come nel caso della ben nota porchetta.
Comunque sia, prima di concludere, mi preme ricordare che tutte le carni suine devono essere cucinate ben cotte, in modo da distruggere eventuali parassiti, in essa presenti, come le larve della trichinella, che causano la trichinosi.
Carne Ovina
Gli ovini destinati alla macellazione, vengono abbattuti a vari stadi di crescita e questo, unito alle peculiarità organolettiche proprie del genere (la carne di montone è diversa da quella di pecora), fa sì che in commercio siano reperibili dei prodotti piuttosto differenti tra loro.
In particolare distinguiamo:
– la carne di agnello di latte, o abbacchio, proveniente dall‘ovino alimentato solo con latte e macellato intorno ai 30 giorni di vita, è senza dubbio la carne ovina più ricercata e costosa, ha un colore bianco-rosato e presenta un’abbondante percentuale di grasso;
– la carne di agnello bianco, o agnellone, proveniente dall’ovino macellato all’età di 3-4 mesi, è una carne rossa, con uno scarso contenuto di grasso intramuscolare;
– le carni di castrato e di pecora, provenienti da ovini adulti, sono carni di colore scuro e sono poco apprezzate, in quanto hanno una consistenza dura e presentano una notevole percentuale di grasso;
– la carne di montone, proveniente dall’ovino maschio adulto, di non oltre tre anni d’età, è una carne di colore rosso scuro, con grasso abbondante, ed è molto nutriente.
I tagli della carne ovina e il loro uso in cucina
Dopo la macellazione le carcasse degli ovini vengono avviate ai mercati, dove possono essere commercializzate intere (soprattutto nel caso dell‘agnello di latte), o in seguito a una suddivisione in tagli particolari.
Questi ultimi sono realizzati sia in funzione delle consuetudini locali, che della costituzione anatomica dell’animale, e proprio in virtù della loro conformazione hanno delle caratteristiche, che li rendono più adatti a un impiego, invece che a un altro.
In questo senso è opportuno conoscerli meglio, in modo da sapere l’utilizzo più appropriato che possiamo farne in cucina.
Scendendo nel dettaglio, i tagli della carne ovina che possiamo trovare in commercio sono:
– il collo, il petto e la pancia: questi sono dei tagli di terza categoria, ovvero sono quelli meno pregiati dell’animale, in quanto rispetto al tessuto muscolare contengono sia un’alta percentuale di tessuto adiposo, che di tessuto connettivo. Proprio in base a tale caratteristica queste parti sono adatte ad essere impiegate solo nella preparazione di pietanze, che prevedono delle cotture lunghe, come spezzatini e stufati;
– la spalla, corrispondente all’arto anteriore dell’animale, è un taglio di seconda categoria, ovvero è un po’ più pregiato dei precedenti, e per le sue caratteristiche è adatto ad essere cotto arrosto, intero o disossato e farcito, oppure ad essere ridotto in pezzi, per essere impiegato nella preparazione di spezzatini, o di spiedini;
– il carré, corrispondente alla parte anteriore della spalla (le prime 8 costole), è un taglio di prima categoria, ovvero rispetto al tessuto muscolare ha una bassa percentuale di tessuto adiposo e di tessuto connettivo.
Tale caratteristica fa del carré una delle parti più pregiate dell’animale e, unita alla sua conformazione anatomica, lo rende idoneo ad essere tagliato, per ricavarne delle costolette, meglio note come “scottadito”, da cuocere fritte o alla griglia. Tuttavia questa parte è adatta anche ad essere cotta arrosto, intera, o disossata e trinciata, per preparare delle nocette;
– il filetto, corrispondente ai muscoli posti sotto le vertebre lombari, è un taglio di prima categoria e generalmente viene tagliato in nocette, che sono adatte ad una cottura alla griglia o in padella;
– la sella, corrispondente ai fianchi dell’animale, dalla coda alle costole, è un taglio di prima categoria ed è adatto sia ad essere cotto arrosto, che essere tagliato trasversalmente, per ricavarne i cosiddetti chops, cioè le doppie costolette, da cuocere alla griglia;
– il cosciotto, corrispondente agli arti posteriori dell’ovino, è insieme alla sella la parte più pregiata dell’animale ed è adatto ad essere cotto arrosto, sia intero che disossato;
– il barone, corrispondente alla metà posteriore dell’animale (i due cosciotti lasciati uniti alla sella), è naturalmente un taglio molto pregiato, di prima categoria, ed è adatto ad essere cotto arrosto.
Gli utilizzi sono quindi molti.